Indicatori monoculari di profondità
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Per tutta la nostra vita il cervello resta al buio totale, chiuso nella scatola cranica e isolato dal mondo esterno. Qualsiasi conoscenza di cui disponiamo da adulti viene portata al cervello dai nostri sistemi sensoriali, che rispondono ad eventi fisici quali la rapida variazione della pressione dell'aria vicino alle orecchie o la temperatura di certi oggetti vicini alla nostra pelle.1
La percezione visiva, stimolata da energia elettromagnetica nella gamma di lunghezze d'onda che va circa dai 400 ai 700 nanometri2, è di gran lunga la fonte più ricca di informazioni sensoriali.3
La facilità di realizzare immagini combinate è uno dei maggiori vantaggi della fotografia digitale. Lungi dal dimostrarsi un "trucco", riflette anzi molto spesso la nostra naturale visione della realtà fisica.
La stessa visione umana è infatti "combinata": l'immagine che si presenta alla nostra mente è il risultato di immagini binoculari. Ossia, la visione contemporanea di quanto visto dall'occhio destro e dall'occhio sinistro viene adoperata dal nostro cervello per comporre la "visione" finale.
Questa visione binoculare non ha solo la funzione di ampliare il campo visivo.
Il risultato di "calcoli" telemetrici effettuati dal nostro cervello e di stime aggiustate dal senso e dall'esperienza, ci permette anche di ottenere valide informazioni sulle distanze e le dimensioni degli oggetti che osserviamo.
Tuttavia, se è vero che osservando la realtà con entrambi gli occhi si ha una percezione nitida della profondità, grazie alle elaborazioni compiute dal cervello sulla convergenza degli occhi (che tendono a proiettare nella fovea il dettaglio di maggior interesse), la disparità binoculare (ossia la differenza di visione tra un occhio e l'altro) e la fusione delle due diverse immagini retiniche, è altrettanto vero che, pur guardando con un solo occhio, riusciamo il più delle volte a stimare la profondità di una scena.
Gli indizi
Esistono infatti alcuni elementi, noti come indizi monoculari di profondità, che permettono anche ai "ciclopi" di stabilire un chiaro senso di tridimensionalità.
Oltre allo stereotelemetro naturale offerto dai nostri occhi, la mente adopera questi indizi monoculari di profondità per creare modelli tridimensionali delle immagini che ci giungono alla retina e valutare le grandezze coinvolte in tutte e tre le dimensioni dello spazio circostante.
La percezione che abbiamo della profondità di una scena è dovuta ad una ridondante molteplicità di fattori, che concorrono ad indicarne la tridimensionalità.
La ridondanza di informazioni ha un valore notevole nella percezione sensoriale: ci aiuta a valutare gli stimoli che ci giungono e per arrivare ad una più completa percezione delle cose.
Fuoco
La messa a fuoco, dovuta all'aggiustamento del cristallino, è un primo indizio monoculare di profondità. A differenza degli altri, questo indicatore è intimo al nostro corpo e non una caratteristica di quanto osservato.
Gli altri indizi, noti come pittorici perché da sempre adoperati nella messa in figura dagli artisti, sono:
Interposizione
Un oggetto sovrapposto ad un altro appare più vicino a noi.
Il criterio che il nostro cervello adopera è che un oggetto opaco occulta la vista di altri posti dietro.
Se quindi qualche parte di una scena appare occultata, se ne deduce che sarà più lontana degli oggetti che la occultano.
Il nostro cervello presuppone di conoscere le forme complete di oggetti cui vede solo una parte, completandole con ricordi di forme simili e con la confidenza "bayesiana" di una loro attendibilità
Ombreggiatura
Le ombre danno l'impressione di tridimensionalità, e quindi di estensione in profondità.
Le ombre hanno un ruolo primario nella lettura di un'immagine visiva. Lorus Milne, ricercatore americano, riconosce che le galline beccano tra i chicchi disegnati solo quelli che hanno l'ombra.4
Massimo è il ruolo delle ombre quando ci si riferisce a fotografie, ossia immagini statiche bidimensionali per le quali la terza dimensione non è percepibile attraverso la visione binoculare, come nella realtà concreta, o anche solo attraverso il graduale spostamento del punto di osservazione, come può accadere al cinema.
Nella fotografia il punto di vista è fisso, nonché singolo.
Il cervello, forte dell'esperienza di una realtà tridimensionale, si sforza di decodificare nell'immagine i punti, le linee e le aree di chiaro e di scuro, nel tentativo di ricostruire un'interpretazione probabile del mondo materiale. Ciò vale per le immagini figurative come per quelle astratte in cui, con maggior fatica, il cervello cerca comunque automaticamente tracce di una rappresentazione del reale.5
Altrettanto vale ovviamente per disegno e pittura.
Elevazione
Più alto è un oggetto sul piano orizzontale, più lo si ritiene lontano.
Nell'esempio qui a lato, la palma di centro viene considerata arretrata rispetto alle altre due, fra le quali la sinistra si ritiene ostentata rispetto alla destra.
Trama
Aumentando la distanza dall'osservatore, la trama di una scena diviene sempre più fitta, fornendo così un chiaro indizio di profondità.
Dimensione
La dimensione di un oggetto, relativamernte ad altri della medesima scena, può avere una particolare, duplice capacità indicativa della terza dimensione.
Da un confronto relativo, pur di oggetti non noti, il nostro cervello stima subito come più distanti gli oggetti più piccoli.
Quando la dimensione è nota, inoltre, siamo in grado di definire, con una certa approssimazione, anche informazioni metriche sulla distanza. In altri temini, possiamo dire più o meno a che distanza si trova uno stimolo, sopratutto in confronto con quelli circostanti.
È interessante come, per il fenomeno detto di costanza percettiva il nostro cervello inferisce l'esistenza di condizioni stabili pur in presenza di stimoli differenti. In particolare, siamo in grado di compensare la differente grandezza apparente degli oggetti che si avvicinano o si allontanano da noi, normalizzando le dimensioni in rapporto alla reale distanza ed alla proporzione con altri oggetti: una persona che si allontana da noi non viene mai percepita come una persona che si rimpicciolisce. Analogamente percepiamo come costante la forma di oggetti che pure offrono delle immagini retiniche mutevoli: non supponendo delle deformazioni, bensì inferendo dalla supposta rigidità degli oggetti delle informazioni sulla loro essenza e situazione tridimensionale: il disco sottostante viene percepito come disco tondo e nero, pur offrendo un'immagine non certo tonda e non certo nera.
La costanza di certe nostre percezioni riguarda peraltro anche il colore: pur variando la natura della luce che illumina determinati oggetti, e quindi variando l'effettiva qualità della luce che giunge alla nostra retina, il colore dì quegli oggetti non sembra variare. Anche questo è fortemente collegato alle nostre aspettative: se si porta una banana in discoteca si tenderà comunque a vederla gialla sotto qualsiasi luce, malgrado assuma di volta in volta colori differenti per la nostra percezione.
Prospettiva lineare
Le linee convergenti ad un punto in distanza rendono il senso della profondità.
Prospettiva aerea
L'effetto dell'aria, tutt'altro che trasparente, rende le immagini di soggetti distanti in modo diverso da quelle di soggetti vicini.
Alcune aree possono apparire più chiare o più scure di altre, più distinte o confuse di altre, in rapporto allo specifico strato d'aria interposto fra l'osservatore ad il soggetto.
1 I così detti cinque sensi: gusto, olfatto, tatto, udito e vista. ⇑
2 Vedi Per quali ragioni vediamo i colori? - Le cause fisiche che stimolano la nostra percezione dei colori. ⇑
3 È da notare che si intende "percezione" l'interpretazione soggettiva dell'informazione offerta dal sistema sensoriale. Normalmente si è portati a percepire qualcosa, ossia ad associare automaticamente elementi della nostra esperienza passata alle sensazioni immediate dei nostri sensi: si cerca automaticamente di interpretare il mondo. L'esperienza passata, ossia i pregiudizi su cosa ci aspettiamo di vedere, influenzano quello che in realtà percepiamo sulla base di stimoli attuali. ⇑
4 Citato da Peter von Waldthausen, Appunti sulla fenomenologia della fotografia in Rivista di storia e critica della fotografia, anno 11, numero 2, febbraio 1981, Priuli & Verlucca, Ivrea. ⇑
5 Da cui forse origina almeno in parte lo stress di molte persone di fronte ad immagini astratte? ;-) ⇑
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